Perché i fischi a Bonanni sono diversi da quelli a Schifani
Il contesto è lo stesso, la festa del Pd a Torino, ma la contestazione a Raffaele Bonanni di ieri e i fischi a Renato Schifani di sabato scorso sono due cose diverse.
Schifani è presidente del Senato, ma anche uno dei leader del centrodestra, uno di quelli il cui consenso e la cui carriera (lo abbiamo raccontato tante volte sul Fatto) sono costruiti su legami discutibili e amicizie sconvenienti. C’è addirittura un pentito, Gaspare Spatuzza, che lo accusa di essere stato il tramite tra i boss mafiosi Graviano e Marcello dell’Utri, nella convulsa fase della nascita di Forza Italia.
Quelli che hanno contestato Schifani, con i fischi che non hanno impedito comunque il dibattito, mandavano due messaggi.
Il primo: il Partito democratico non ha mai preteso che Schifani facesse chiarezza sul suo passato, cosa doverosa vista la carica che ricopre, e non si è mai preoccupato di usare (magari con un pizzico di cinismo) le ombre del suo passato come strumento di lotta politica. Secondo punto: invitando Schifani alla festa nazionale, i leader del Pd avallano il fatto che la carica ricoperta è più importante della persona. Si invita il presidente del Senato, poco importa se è uno che frequentava mafiosi e che era, diciamo, poco selettivo nello scegliersi i clienti quando faceva l’avvocato a Palermo. Insomma, i fischi erano tanto a Schifani che al Pd, contro l’operazione politica dell’invito alla festa. La cosa rilevante era che Schifani fosse lì, non quello che aveva da dire.
Si può essere d’accordo o meno con i contestatori di Schifani. Ma si deve riconoscere che erano diversi da quelli che ieri hanno impedito l’intervento di Raffaele Bonanni. I primi sventolavano articoli di giornale, fotocopie, notizie alle quali ritenevano doveroso almeno un commento. I secondi hanno lanciato fumogeni. Stando ai primi resoconti, si è anche sfiorata la violenza vera. Se quel fumogeno avesse colpito il segretario della Cisl, adesso i toni del dibattito sarebbero ben diversi. La Cisl ha un’idea della crisi: il nemico è la globalizzazione, non la Confindustria, inutile combattere battaglie che non si possono vincere, come quella su Fiat, dove i lavoratori non hanno alcun potere contrattuale. Meglio cercare di manovrare la transizione al mondo dopo la crisi nel modo meno sfavorevole ai lavoratori. Si può dissentire – e la Fiom, per esempio, dissente – come molti (anche a sinistra) dissentono dalle battaglie della Cgil. Ma il dissenso a colpi di fumogeni non è mai molto produttivo. E, in fondo, non si contestava il diritto del Pd di invitare Bonanni, ma l’operato di Bonanni. Mentre sabato scorso, viceversa, il punto non era affatto l’operato di Schifani da presidente del Senato ma il suo discutibile passato e il modo in cui il Pd lo legittimava.
Nessuno ha mai pensato di tirare le monetine a Bettino Craxi perché era un socialista, lo hanno fatto perché rubava.
Adesso, da destra e un po’ anche nel Pd, in molti cercheranno di sovrapporre i due eventi per invocare, come sempre, toni più pacati e anestetizzare un clima incandescente non certo soltanto per colpa dei fischiatori.
Ma c’è fischio e fischio.
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